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Cittadino Elettore

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E adesso? Cosa accade adesso dopo l’ebbrezza elettorale che ci ha resi protagonisti di un’altra “rivoluzione” all’italiana?

L’ultima che ricordo è quella del 1994, quando appaltammo le nostre ansie di rinnovamento moraliste e legaliste come sappiamo. O meglio: come dovremmo sapere. Con il risultato che oggi non solo quell’anelito di cambiamento, quella prima edizione del “tutti a casa” rivolto ai Craxi e ai Forlani, è stato seppellito da una risata e da fiumi di denaro e bagordi saldati con “paghette” elargite dai cittadini. Ma anche, ed è peggio, che il segretario di un grande partito grida alla <democrazia in pericolo> e invoca le piazze in difesa della “libertá” di comprare un senatore per far cadere un governo della Repubblica Italiana. Mettendo così (come un Forlani, per dire, non avrebbe mi osato fare) l’ultimo sigillo alla “rivoluzione culturale” iniziata nel 1994 e tele-covata ben prima.
Vorrei capire, da cittadino elettore un po’ confuso, cosa è accaduto, cosa sta accadendo e cosa accadrá. Ma non solo sotto il profilo “procedurale”.
Per capirlo mi guardo in giro. E oggi “guardarsi in giro” significa anche (soprattutto?) affacciarsi sui social-media, dove trovo un fiorire di post (parlo di quelli non professionali) che tradiscono ancora i segni di una sbornia non smaltita. Siamo come degli alunni che non si sono accorti che la campanella è suonata, che è finita l’ora di psicologia ed è iniziata quella di diritto (costituzionale).
Non ce ne siamo accorti perché stiamo scivolando da molto tempo in un investimento che è psicologico, terapeutico verrebbe da dire, nella politica. Perché siamo iper-politici, altro che antipolitica. E dietro il voto di massa a Grillo c’è ben  più di una reazione politica alla cattiva politica. Si tratta dell’esito più evidente di questo processo “iperpolitico”.
Lo ha spiegato bene di recente Umberto Curi su “La Lettura”: “L’equivoco principale – osservava Curi prima delle elezioni – scaturisce da quella preposizione, “anti”, che suggerisce un’idea totalmente fuorviante, tale per cui essa tenderebbe a negare frontalmente la politica. Mentre un’analisi meno superficiale può far emergere un dato sorprendente, e cioè che ciò con cui abbiamo a che fare non è la negazione, ma al contrario una variante iperpolitica della politica (…). ma la politica non è una panacea, un toccasana capace di sanare ogni malattia, senza dar luogo ad alcun fenomeno collaterale. Si tratta, invece, di un rimedio limitato e imperfetto, necessario per fronteggiare la malattia dello Stato, ma al tempo stesso del tutto incapace di garantire una compiuta guarigione>.
Quello che chiediamo, invece, è una guarigione. Forse perché uno dei tratti dominanti della mutazione culturale che stiamo vivendo – e che ha radici ormai lontane – porta il prefisso “psi”. Lo notava già nel 1982 il sociologo francese Robert Castel, quando parlava dell’<avvento di una cultura psicologica che s’inscrive in un processo di dissoluzione delle strutture familiari, comunitarie, politiche tradizionali>.
Che il comportamento del cittadino-elettore, le sue aspettative, il suo “investimento” non siano dettati solo dalla “scelta razionale” della teoria economica trasferita sul piano politico (come vorrebbe una lunga tradizione contrattualista) non è certo una scoperta. Ma quello a cui stiamo assistendo, forse, è un prevalere della componente “psi”, intesa come crescita delle aspettative “terapeutiche”.

 

ELEZIONI 2008


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