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Ma del Pd, ve ne frega?

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Questa mattina, 3 agosto 2015, il collega Andrea Iannuzzi (direttore dell’Agenzia giornali locali del Gruppo Espresso) ha lanciato un “sondaggio volante” con un post su facebook: "A chi frega qualcosa dello scontro interno nel Pd?"
Stavo sfogliando i quotidiani e mi era piaciuta la scelta della Stampa di Torino, l’unico tra i giornali nazionali che dedicava il titolo di apertura della prima pagina all’”Offensiva di Obama sul clima”, accompagnato da un editoriale che parlava di “Vista lunga”. Ecco, pensavo dopo una capriola dal “che cosa” al “come”: ecco come i giornali di carta dovrebbero provare ad arginare il declino che ogni mattina, ahimè, le edicole certificano: esercitando la vista lunga sulle scelte tematiche da mettere in primo piano e riservando al dichiarificio politico quotidiano una sezione interna per gli amanti del genere.
Avevo anche appena letto un lungo articolo di Emanuele Severino sul Corriere, dove il filosofo osservava tra l’altro: “Da tempo la politica ha ceduto all’economia la guida della società. Nelle società capitalistiche la politica (ormai anche quella di sinistra) mira a garantire il miglior funzionamento dell’economia di mercato. Di fatto lo Stato non è più stato Stato politico, ma economico”. Ma è evidente! – dirà qualcuno - Non ci serve un filosofo che ce lo spieghi. Trascurando il fatto che se fosse così evidente (e se esiste ancora un ruolo pubblico della filosofia dovrebbe concentrarsi proprio su diagnosi, prognosi ed eziologia delle "evidenze") dovremmo – i giornalisti per primi - buttare via seduta stante gran parte del vocabolario di cui ci si serve ogni giorno per riempire giornali, siti, blog e social.
Insomma, per tornare alla domanda di Iannuzzi, stavo per inserirmi tra i commenti al suo post con un deciso “a me no, non me ne frega niente”. Ho ritratto i polpastrelli. E non tanto perché sarebbe stato un commento troppo lapidario e poco argomentato, o perché nel frattempo ne stavano arrivando di ironici e divertenti (del genere “aggiro la questione ma mi prendo un sacco di like”) con i quali dopo la “cura Severino” non avrei potuto competere. Piuttosto perché, in fondo, qualcosa “me ne frega”.
E mi interessa perché, contrariamente a molti scontri interni ai partiti che non sono altro che rese dei conti personali, mi sembra di intravedere nel “caos Pd” una messa in scena efficace di quella transizione tra un prima e un dopo, dove il “dopo” (su post-democrazia, post-politica… esiste ormai una vasta saggistica, oltre a interventi giornalistici acuti come quello di Ilvo Diamanti del 3 agosto 2015 su Repubblica), non deve far altro che aspettare sulla riva i resti della politica; vale a dire di linguaggi, prassi, riti, “sentimenti”, che sembrano inesorabilmente destinati alla sconfitta e all’oblio. Salvo che dal sogno “post” non ci si risvegli bruscamente: “Di fatto lo Stato non è più Stato politico”, dice Severino. Più o per ora?


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