Vuole processarli tutti, dice: politici, imprenditori, giornalisti, intellettuali a vario titolo. Dove? Sul web, per fortuna. Eppure lui, Beppe Grillo, viene da lì e da lì non si è mosso: negli anni 90 è un comico “intellettuale” che scrive i testi di un programma tv con Michele Serra e affida la regìa a Giorgio Gaber (niente a che vedere con la matrice Drive In del berlusconismo). Oggi è anche un giornalista, anzi “il” giornalista che filtra, smonta-rimonta, demistifica l’informazione.
È un ottimo imprenditore di se stesso ed è sicuramente un politico di primo piano. Anzi, un iper-politico, prefisso che racchiude tutti gli altri (pre-post-contro).
Ma forse, quando non saremo più distratti dai fuochi d’artificio verbali del leader e dalle sue performance situazioniste e cominceremo a fare i conti con l’eredità culturale del grillismo, dovremo partire dalla centralità della parola “intellettuale” per capire cosa è accaduto. Forse la rivoluzione culturale del grillismo risiede nel tentativo di dare gambe politiche e tradurre al grande pubblico le teorie post-operaiste della Moltitudine e del general intellect: dall’operaio-massa all’intellettuale-massa. Come il primo – secondo i padri dell’operaismo da Mario Tronti a Toni Negri – grazie alla sua mancanza di ideali, sostituiti da una conflittualità intrinseca verso il modello capitalistico, avrebbe anche destrutturato l’impalcatura burocratico-verticistica del sindacato e dei partiti della sinistra in nome di una lotta spontanea, costruendo l’Autonomia operaia; così il secondo, privo o spogliato di ideologie se non di ideali (“nè destra, né sinistra”) e intrinsecamente ostile a ogni forma di dominio sulla dimensione cognitiva del lavoro, attacca frontalmente la mediazione dell’apparato intellettuale-editoriale per costruire l’Autonomia intellettuale. Sostituendo il Partito (l’”intellettuale collettivo” di Gramsci) con la Rete, la “stanza intelligente” di Weinberger.
La bibliografia grillina trascura del tutto, naturalmente, la critica più attenta della mitologia della Rete come palestra di Autononia intellettuale e ambiente di un’economia del dono, così come certa sinistra radicale incline a considerare i knowledge workers l’ avanguardia economica verso il post-capitalismo, trascura il fatto che attorno al web si è creato il più grande processo di accumulazione capitalistica della storia.
Ma intanto l’intellettuale-massa avanza. La parte più politicizzata dell’elettorato grillino – che come ci dicono gli analisti è mediamente più giovane e più istruito degli altri – non lo esaurisce, ma ne costituisce un’avanguardia che ha “qualcosa da dire” più spesso degli altri. L’intellettuale-massa è un attivista della parola spontanea, un pesce nell’acqua dell’autocomunicazione di massa.
Il processo agli intellettuali-mediatori – al di là della “minaccia” del Capo – è nelle cose, una pratica quotidiana di un esercito di blogger, aspiranti blogger e microblogger che si autopercepiscono come portatori di saperi immuni dalla Grande Malattia del Sistema. Intellettuali-massa, dove la parola massa perde ogni connotazione negativa perchè è la benzina di una rivoluzione incruenta che accelera e politicizza il declino, la perdita di status, della classe intellettuale tradizionale.
L’intellettuale-massa antepone la “forza” alla strutturazione dei suoi argomenti, si autorappresenta come veicolo di “verità”, anche se si tratta di “verita negative”, tali spesso solo per contrapposizione ai “grandi falsi” costruiti e alimentati del sistema politico-mediatico.
È forte, vincente, perchè ha capito che l’ironizzazione del mondo e la postura disincantata dell’intellighenzia tradizionale perdono appeal con l’avanzare della crisi.
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Dall’operaio-massa all’intellettuale massa
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