Joele è mio figlio, mi è venuto da dire. Senza curarmi che suoni retorico, lacrimevole. E’ uno dei tanti ragazzi italiani che semplicemente se ne vanno. Sono “choosy”? “Sgifati”? Non lo so, se ne vanno.
Mentre al largo di Lampedusa si consumava l’ennesima tragedia, nello stesso giorno, una ragazza italiana arrivava ad Addis Abeba, migrante all’incontrario. La prima volta ci era andata con l’Aiesec, un’organizzazione mondiale di studenti universitari che si occupa di volontariato in diversi Paesi e situazioni. Insegnava l’aritmetica e l’inglese ai bambini di uno slum, bambini di strada figli di prostitute, quasi tutti malati, molti di Aids. E’ tornata in Italia qualche mese, per le sessioni di esami. Poi ha detto: riparto, vado là. Suo padre, sua madre, si sono inutilmente impegnati in lunghe duscussioni sull’investimento in un futuro più accettabile per loro. Per loro.
E’ ripartita, sta bene. Si chiama Chiara. E’ mia figlia.